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Il Sole 24 Ore

07/07/2021

Il Sole 24 Ore

Tre pilastri per una riforma fiscale che rispetti il dettato della Costituzione

Le Commissioni congiunte di Camera e Senato hanno definito un documento di sintesi sulla riforma fiscale dicendo chiaramente che l’attuale sistema «frena la crescita» ed è socialmente iniquo, cioè regressivo.

Ecco perché questa è la “madre di tutte le riforme”.

Va chiarito subito però che non può essere fatta a deficit e debito, tantomeno può essere fatta con l’uso dei fondi europei.

Le risorse necessarie vanno quindi trovate “dentro” il nostro bilancio pubblico con tagli agli sprechi ed alle ruberie di spesa e con il recupero dell’evasione. Occorre cioè, parole del governatore Ignazio Visco, «una ricomposizione del bilancio nelle voci di spese e di entrata».

Nei prossimi sei anni arriveranno in Italia circa 40 miliardi all’anno di fondi europei, tra sussidi a fondo perduto e prestiti da restituire.

Il nostro bilancio pubblico determina una spesa totale di 900 miliardi all’anno e raccoglie circa 800 miliardi di tasse.

Non possiamo quindi illuderci che tutti i nostri problemi siano risolvibili solo con l’uso dei fondi europei. Sarebbe come fare un pieno di benzina e spingere l’acceleratore continuando ad avere però il freno a mano tirato.

Perno fondante di una riforma fiscale è la riforma dell’Irpef.

Gli ultimi dati dell’Agenzia delle Entrate indicano che il gettito totale dell’Irpef è stato pari a 158 miliardi di euro. Lavoratori dipendenti e pensionati pagano quasi l’80% del totale.

I contribuenti con redditi lordi inferiori a 55.000 euro hanno pagato 101 miliardi, cioè 66% del totale, quelli con più di 100.000 euro di reddito lordo hanno pagato il 20% del totale.

I numeri quindi dimostrano che la nostra attuale Irpef è regressiva.

Non rispetta cioè il dettato costituzionale dell’equità verticale. Per di più, a parità di reddito, fa pagare di più a chi non è avvantaggiato dalla pioggia di esenzioni e deduzioni (Tax Expenditure) o da fonti di reddito tassate a parte con aliquote agevolate, cioè non rispetta neanche il principio dell’equità orizzontale.

Tre sono allora i pilastri di una nuova Irpef…costituzionale.

1 Dalle attuali cinque aliquote occorre passare a tre aliquote, allargando i valori degli scaglioni di reddito anche per evitare assurdi effetti di soglia.

Ad esempio: 20% fino a 50.000 euro, 30% da 50 a 100.000 euro e 40% sopra i 100.000 euro.

2 Il grado di progressività va poi rafforzato con l’introduzione di una No-Tax Area dando 5.000 euro di esenzione per ogni componente del nucleo familiare (da raddoppiare in presenza di disabili). Pertanto, una famiglia con padre, madre e due figli pagherebbe zero-Irpef sui primi 20.000 euro di reddito.

Qui c’è il problema degli “incapienti”, di coloro cioè che hanno un reddito sotto soglia. Semplice, a questi soggetti si riconosce un trasferimento diretto fino al raggiungimento della soglia, gli anglofoni la chiamano Negative Income Tax.

E questo potrebbe riassorbire l’assegno unico per i figli in vigore da luglio di quest’anno, riducendo anche la giungla delle esenzioni e deduzioni fiscali (Tax Expenditure).

Secondo i dati della Commissione Marè del Mef si tratta di oltre 80 miliardi di euro all’anno dispersi a pioggia e con palesi contraddizioni l’una con l’altra.

Un esempio su tutti: diamo circa 16 miliardi di incentivi per le fonti energetiche verdi e 18 miliardi di incentivi per il consumo di carburanti fossili.

3 Numerose e quasi infinite sono le varie forme di reddito non sottoposte a tassazione con l’Irpef, prevalentemente fonti da rendita immobiliare e da rendite finanziarie.

Su questi redditi si applica una miriade di cedolari secche, definite nei decenni scorsi in base alla forza contrattuale delle diverse lobby interessate.

Una radicale riforma Irpef dovrebbe riportare tali rendite alla tassazione generale.

Una Irpef di questo tipo darebbe un minor gettito pari a circa 40 miliardi con una riduzione della pressione fiscale di circa il 2 per cento.

Con il disboscamento delle Tax Expenditure e con il reingresso delle rendite nella tassazione generale si potrebbe avere piena copertura della riforma che sarebbe quindi a zero deficit e debito.

Alla riforma Irpef va poi affiancata la riforma della tassazione sulle imprese a partire dalla tassazione delle multinazionali operanti in Italia, possibilità che si è fatta più concreta con l’apertura di Biden.

Questa va comunque concordata in sede europea anche per far finire i paradisi fiscali interni della Ue. Con questo maggior gettito e con tagli ai fondi perduti erogati a pioggia (in Italia circa 50 miliardi all’anno tra trasferimenti correnti ed in conto capitale) si può azzerare l’Irap e ridurre in modo significativo il cuneo fiscale-contributivo con una ulteriore riduzione della pressione fiscale di un altro 1-2 per cento.

Infine, c’è l’Iva con aliquote molto diversificate che per altro alimentano evasione ed elusione.

Qui occorre pensare ad una sola aliquota che valga per tutti.

Questi sono i cardini per rispettare il dettato costituzionale ed avere un fisco più equo che sostenga ripresa, sviluppo ed occupazione.

Semplice a dirsi, difficile a realizzarsi.

Negli ultimi trent’anni, le coalizione di interessi incrociati di categorie, settori, lobbies e consorterie varie hanno sempre vinto mantenendo lo status-quo.

Fare una riforma fiscale seria, trasparente e strutturale significa quindi mettere le mani in quei nidi di vipere politicamente pericolosi.

Ma avere il coraggio delle scelte “è” il bello della Politica, cioè dell’interesse della Polis.

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Mario Baldassarri



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