FINANZA E MERCATI

Il Sole 24 Ore

29/08/2021

Il Sole 24 Ore

Il settore auto resiste alla doppia sfida del Covid e della transizione energetica

Bilanci. I maggiori costruttori e i loro fornitori sono riusciti a ridurre l’indebitamento netto rispetto al periodo pre pandemia nonostante i problemi di approvvigionamento e il forte impulso agli investimenti sui veicoli del futuro, elettrici e iperconnessi

La pandemia ha fatto anche cose buone. È riuscita a fare abbassare l’indebitamento netto dei costruttori di automobili e dei loro fornitori, per esempio. È un dato importante. Perché ha messo l’industria nelle condizioni di ripartire senza eccessivi fardelli sul finire di un’epoca, quella del motore a scoppio, e all’inizio di un’altra, quella dell’auto elettrica e iperconnessa, immersa in una nuvola di servizi digitalizzati. Secondo l’analisi della società di consulenza globale AlixPartners dalla performance finanziaria dei 25 principali costruttori e dei 200 principali fornitori di componenti nel 2020 il valore totale di indebitamento è cresciuto rispetto al 2019 di 137 miliardi di dollari (+10% anno su anno) per i car maker e di 64 miliardi di dollari (+22% anno su anno) per i fornitori. Dati che per il debito lordo rappresentano un massimo storico, spinto dall’emergenza Covid ma soprattutto dall’accelerazione degli investimenti per sostenere la filosofia CASE: Connected, Autonomous, Shared, Electric. La crescita del debito lordo si è unita però ad una migliore gestione della liquidità, con valori di cassa in crescita anno su anno di 151 miliardi di dollari per i costruttori e 71 miliardi di dollari per i fornitori. Risultato: calo dei valori di indebitamento netto, rispettivamente di 14 miliardi e di 6 miliardi di dollari. Nell’anno pandemico, quello dei volumi a picco. Tra poco vedremo perché.

Gli ostacoli non mancano. Da oltre un anno il settore è alle prese con interruzioni della produzione. L’imprevista esplosione della domanda di microchip ha messo in crisi i produttori. Giovedì si è saputo che il colosso taiwanese Tsmc aumenterà i prezzi tra il 10 e il 20%, per sostenere la crescita necessaria a soddisfare la domanda. Da dicembre lo shortage ha obbligato molte fabbriche di auto occidentali – da Tesla a Volkswagen, da Stellantis a Daimler, fino alla tradizionalmente parsimoniosa Toyota – a fermarsi per giorni o settimane. Poi è tornata l’emergenza pandemia: nelle ultime settimane la variante Delta del Covid-19 ha inflitto duri colpi, imponendo lockdown e stop alle fabbriche in particolare nel Sudest asiatico, da Taiwan al Vietnam alla Malesia. Ne ha fatto le spese, ancora, il mercato dei semiconduttori oltre che la logistica.

Eppure, il recupero post Covid-19 era parso più veloce del previsto: per i 25 principali costruttori i ricavi del primo trimestre 2021 erano cresciuti del 7% sul 2020, allineandosi con i valori del primo trimestre 2019; l’Ebitdar (ovvero Ebitda prima delle spese di ristrutturazione) del primo trimestre 2021 era salito addirittura del 72% anno su anno, raggiungendo valori superiori a quelli del primo trimestre 2019. Quanto ai 200 principali fornitori i ricavi sono saliti del 16% e l’Ebitdar del 57% rispetto al 2020, superando in entrambi i casi i livelli raggiunti nel primo trimestre 2019. Il vantaggio acquisito sul breve periodo non è però garantito. È vero che i 25 principali costruttori hanno saputo contrastare un calo dei volumi di produzione del 15% in due anni (da 79,6 milioni di veicoli nel 2019 a 67,6 milioni nel 2020). Questo grazie a un aumento di 1.700 dollari del prezzo medio per veicolo, un rincaro reso meno evidente per i consumatori da incentivi mai così generosi - dai 172 miliardi del 2008/09 a 3.400 solo in Europa, la metà in Germania (fino a maggio 2021) - e dalle modalità di vendita a rate o in leasing.

Ma cosa succederà di qui al prossimo traguardo, diciamo il 2025? Come dovranno attrezzarsi i player per fare quadrare i conti? I soli costi delle materie prime sono decollati, da una media di 1.875 dollari a veicolo nel 2020 (fonte AlixPartners Global Automotive Outlook 2021) a oltre 3.600 dollari non più tardi di tre mesi fa. «Sebbene l’industria dell’auto abbia reagito positivamente alla crisi, con risultati già evidenti nell’evoluzione dei financials di settore, bisognerà essere pronti ad affrontare nuove sfide per garantire la stabilità finanziaria, in particolare la marginalità. Quello che avevamo definito due anni fa come “deserto del profitto” non è ancora del tutto superato», commenta Dario Duse, managing director di AlixPartners ed EMEA co-leader dell’Automotive e Industrial practice.

Tutte le principali case hanno virato alla boa di metà anno con conti più brillanti delle attese, anche se la seconda metà si annuncia più volatile. Il gruppo Volkswagen e Bmw hanno alzato i target sul margine operativo (di mezzo punto al 7,5% Vw, la casa bavarese di un punto al 9%). Ottima la performance di Stellantis (margine all’11,4%). In settimana anche Audi ha ritoccato i propri obiettivi all’11%. Tutto questo dopo che la marginalità media era passata per i principali 25 costruttori dal 5,5% del 2019 al 4,5% del 2020.

Quel che è certo è che – in linea con la crescita attesa dei veicoli elettrici, sia a batteria (BEV, fino al 35% nel 2030) che ibridi plug-in (PHEV) – i car maker dovranno concentrarsi sulla stabilizzazione e ottimizzazione della marginalità del business elettrico con focus su tre aspetti.

Primo, l’incidenza dei costi fissi. «Mentre i segmenti premium – spiega Duse – raggiungeranno già nel 2023 volumi per piattaforma comparabili con quelli dei motori a combustione (per Europa e Nord America), per gli altri segmenti questo non avverrà prima del 2028. Partnership e joint venture (in crescita del 30%, Ndr) ricopriranno quindi un ruolo strategico per mettere a fattore comune volumi ed investimenti ed aumentare la profittabilità».

Secondo, la riduzione dei costi variabili. «Il gap tra elettrico e termico – continua Duse – è considerevole: nel 2020 la forbice ammontava in media a 7.800 dollari (+168% sul costo del propulsore) per auto di segmento B e a 11.200 dollari (+160%) per auto di segmento D. Ridurre il costo delle batterie (la corsa alle Gigafactory in partnership con società europee e cinesi è in pieno svolgimento, Ndr) ed internalizzare alcune produzioni sarà fondamentale per raggiungere, anche sull’elettrico, i livelli di profittabilità dei motori termici».

Terzo, i costruttori dovranno investire nella conversione degli stabilimenti esistenti per gestire la dualità dei powertrain, a combustione ed elettrico. «Si stima – aggiunge Duse – che delle 137 fabbriche in Europa, 34 saranno oggetto di riconversione e dovranno gestire parallelamente produzioni elettriche ed a combustione interna. Si prevedono 14 nuovi siti creati da zero».

Incrementare la profittabilità sarà quindi la sfida principale nei prossimi anni. Questo comporterà una grande attenzione alla stabilizzazione delle filiere e allo sviluppo di fonti di ricavo alternative, come forme di abbonamento per aggiornamenti in car infotainment, servizi premium per la navigazione, nuovi modelli di business basati sul software le gati all’offerta di servizi integrati.

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Alberto Annicchiarico



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