IMPRESE E TERRITORI

Il Sole 24 Ore

07/03/2023

Il Sole 24 Ore

Toscana, i terzisti della moda internalizzano le subforniture

Dalla pelletteria alle finiture per fibbie diversi produttori riorganizzano le fabbriche

Azzurra Morelli, titolare dell’empolese Pellemoda (35 milioni di euro di fatturato 2022) che produce abiti in pelle e in tessuto per i grandi marchi della moda, non fa tanti giri di parole: «Abbiamo appena acquisito una piccola azienda che da anni lavora per noi, Second Skin di Orvieto, e lo abbiamo fatto per un motivo semplice: avere 30 persone in più che sanno cucire capi in pelle e shearling, aumentando così la capacità produttiva. Il problema del nostro settore, in questa fase, è la mancanza di manodopera ed è naturale che chi può cerchi soluzioni».

Eccola qui, la nuova stagione delle filiere della moda di lusso: più compatte, più integrate verticalmente, più trasparenti e dunque più sicure dal punto di vista del lavoro e del prodotto. E’ un processo impetuoso, scatenato dalla pandemia e dalle difficoltà post-Covid nel reperire competenze e componenti, che sta determinando una profonda riorganizzazione produttiva. Tutti sono coinvolti: grandi marchi, terzisti dei grandi marchi, subfornitori dei terzisti.

L’obiettivo è stringere gli anelli della (articolata) catena di fornitura, nell’abbigliamento come nella pelletteria. In questo caso non si tratta di riportare le produzioni in Italia o nei Paesi mediterranei (il cosiddetto reshoring), visto che nel lusso la filiera è già sostanzialmente made in Italy, quanto di garantirsi le prestazioni lavorative strategiche. Il tema s’intreccia con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e, soprattutto, sociale (i criteri Esg) che oggi stanno acquistando sempre più importanza, col risultato di stimolare soluzioni originali.

Se da una parte i grandi marchi accelerano l’acquisizione di lavorazioni-chiave - come hanno fatto negli ultimi mesi Dior con Artlab, Zegna e Prada col Lanificio Biagioli, Lvmh, Chanel e Prada con alcune concerie di Santa Croce sull’Arno, Fendi col maglificio teramano Matisse – per assicurarsi saperi artigianali difficili da replicare sottraendoli ai concorrenti, dall’altra parte anche i terzisti, almeno quelli più grossi e strutturati, si stanno rafforzando in più direzioni. Innanzitutto compattando la filiera attraverso l’acquisto di piccoli subfornitori, come ha appena fatto Pellemoda ma anche la 2C di Scandicci (Firenze), produttore da 50 milioni di fatturato di accessori metallici (fibbie, ganci, borchie) per borse e scarpe dei grandi marchi, che ha acquisito la piccola Joker (5 milioni di fatturato), altro produttore di minuterie metalliche. Un’altra strada percorsa dai terzisti per compattare la filiera è mettere i subfornitori sotto lo stesso tetto, come sta facendo ad esempio Gab, azienda di Calenzano entrata a far parte del gruppo Holding Moda: entro l’anno Gab completerà il nuovo stabilimento di Calenzano (Firenze), in cui produce borse per i grandi marchi dei gruppi Lvmh e Kering, ospitando (in affitto) otto laboratori di subfornitura esterni (sui 12 totali). In questo modo ottimizzerà tempi e logistica e avrà la garanzia di una filiera tracciata e trasparente, sempre più richiesta dai grandi marchi. «Per la prima volta i nostri clienti avranno la garanzia di una filiera a chilometro-zero», spiega il fondatore di Gab, Simone Lenzi.

La richiesta dei brand, del resto, va sempre più nella direzione di custodire e controllare i materiali da trattare, come sa bene Daniele Gualdani titolare della Lem di Bucine (Arezzo), colosso delle finiture per fibbie e chiusure di borse e abiti (70 milioni di fatturato 2022), che i subfornitori sotto il proprio tetto li ha messi da più di dieci anni, attraverso un contratto di appalto. Si tratta di due aziende create da una ragazza del Bangladesh arrivata in Valdarno all’inizio degli anni Duemila in cerca di fortuna, che oggi impiega 100 connazionali e svolge una fase strategica del processo, la legatura dei pezzi di metallo al filo di rame: un caso straordinario di integrazione e imprenditorialità ora raccontato nel libro ’Legami e legature’. «In questo modo, stando all’interno del nostro stabilimento, i subfornitori lavorano in condizioni simili alle nostre – spiega Gualdani – e non ci sono sorprese: il materiale non esce dall’azienda, il marchio viene tutelato, non ci sono rischi di subappalto. Se fossero fuori dall’azienda, potremmo fare un audit una volta ogni tanto, ma non sapremmo mai le condizioni in cui lavorano». Concorda Azzurra Morelli di Pellemoda: «Noi abbiamo un team di persone dedicate che vanno a controllare i gruppi esterni che lavorano per noi, ma oggi, sempre di più, la moda ha bisogno di subfornitori affidabili, è l’unica possibilità per continuare a lavorare con i grandi marchi». È anche per questo che Hostage, l’altra azienda dei Morelli che produce abiti in tessuto, ospita in affitto, sotto lo stesso tetto, un laboratorio che realizza il campionario. Meglio che gli anelli della catena stiano vicini, è il nuovo diktat.

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Silvia Pieracini



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