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Il Sole 24 Ore
07/07/2024Il Sole 24 Ore
Allarme giovani, il 35% degli under 30 è pronto a lasciare l’Italia per avere salari più alti
Indagine Ipsos. Sondato un campione di 1.200 ragazzi: il Paese resta poco attrattivo, solo il 19% conosce le opportunità del manifatturiero. La denatalità fa sparire ogni anno dai banchi di scuola 100/110 mila studenti

Sono la “generazione Z”, che dovrebbe fare la fortuna dell’Italia e della sua industria, eppure rischiamo letteralmente di perderla. Non solo perché i nostri under30 sono sempre meno, frutto amaro di una denatalità che fa sparire dai banchi 100/110mila studenti l’anno. Ma anche perché quelli che abbiamo rischiamo addirittura di “regalarli” ai paesi nostri competitor, visto che uno su tre, vale a dire ben il 35%, ha dichiarato candidamente che lascerebbe il Belpaese per avere opportunità lavorative migliori e salari più alti. Per un lavoro più gratificante addirittura l’85% dei nostri giovani mette nel conto la possibilità di trasferirsi lontano da casa (oltre all’estero, il 18% si sposterebbe in Italia, il 32% nella regione, o in regioni limitrofe). A testimonianza, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, che i nostri ragazzi sono tutt’altro che “bamboccioni” ma pronti a mettersi in gioco (solo il 15% non intende spostarsi), ma anche, a volerlo vedere purtroppo mezzo vuoto, del totale fallimento delle politiche di meri bonus assistenziali e incentivi “una tantum” fin qui portate avanti dagli ultimi governi.
Allarme capitale umano
Ad accendere una nuova spia rossa sull’emergenza giovani è un’indagine condotta su un campione di 1.200 under30 realizzata da Ipsos per la Fondazione Raffaele Barletta, che sarà presentata in Campidoglio, a Roma, mercoledì 10 luglio. Una ricerca che si inserisce in un solco di studi piuttosto eloquenti sul tema, condotti da Istat, Almalaurea, Svimez, Bankitalia, solo per citarne alcuni. Tutti focus che lanciano lo stesso allarme sulla perdita di capitale umano. Tra il 2008 e il 2022, ha ricordato il governatore di palazzo Koch, Fabio Panetta, lo scorso maggio, sono andati all’estero per migliori prospettive di lavoro qualcosa come 525mila giovani. Di questi solo un terzo è tornato in Italia. Hanno lasciato il Paese soprattutto i laureati. Il 4% degli occupati a un anno dal titolo e il 5,5% di quelli a cinque anni, ha aggiunto l’ultima indagine di Almalaurea, lavora all’estero. E fa tremare i polsi come, di tutti questi, il 70% o giù di lì esclude più o meno drasticamente il ritorno in Italia. Basta guardare le paghe per capirlo. I laureati di secondo livello giunti oltre confine percepiscono, a un anno dal titolo, 2.174 euro mensili netti, +56,1% rispetto ai 1.393 euro di chi è rimasto. Dopo cinque anni la differenza sale a +58,7%, considerando che all’estero si arriva a percepire in media 2.710 euro, rispetto ai 1.708 degli occupati in Italia. E se, come ci ha ricordato l’Istat, da qui al 2040 le persone in età lavorativa diminuiranno di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170mila persona l’anno (questa contrazione si tradurrebbe in un calo del Pil del 13 per cento), è facile comprendere le dimensioni che ha ormai raggiunto il problema. E mentre il Nord Italia più o meno riesce a compensare le uscite con l’attrazione di giovani provenienti dal Mezzogiorno, il Sud si ferma alla perdita secca di talenti. Una doppia onda che mette alla prova la tenuta dell’intero Paese, specialmente quando la fuoriuscita riguarda professioni a elevato valore aggiunto: medici, ingegneri, specialisti dell’Ict.
La necessità di attrarre talenti
«Non poter contare sul 35% dei nostri giovani è un dato che fa molto riflettere - ha sottolineato Paolo Barletta, CEO del Gruppo Barletta e Presidente del Myllennium Awards -. Si parla di scarsa natività e di un minor flusso di lavoratori che possano continuare a far crescere il nostro paese. Allo stesso tempo, questo 35% è altrettanto grave perché significa rischiare di avere il 35% in meno di imprenditori, il 35% in meno di dirigenti, di ricercatori, di medici, di artisti, di sportivi, e così via. Per trattenere i talenti è necessario un netto cambio di mentalità, un approccio che ci possa avvicinare alle altre realtà europee, o a quella americana, e garantire ai nostri giovani che fare impresa, ad esempio, non è una prerogativa “figlia d’arte” o una remota alternativa. Dobbiamo impegnarci a creare un ambiente in cui i talenti possano restituire alla comunità attraverso iniziative di give back fungendo proprio loro da ambasciatori di questo nuovo corso. Se falliamo in questa missione, l’Italia rischierà, insieme alla scarsa natalità, di perdere delle importanti potenzialità di rimanere una delle economie principali al mondo».
Un’iniziativa per iniziare a invertire rotta è Myllennium Award, il primo premio multidisciplinare che riconosce il talento di giovani di tutta Italia, attraverso opportunità concrete di tipo professionale e formativo. In dieci anni dalla sua fondazione ha premiato oltre 306 talenti in tutta Italia ed erogato più di 1 milione di euro in denaro e opportunità professionali riconosciuti.
Più consapevolezza dell’Italia
A sentire i diretti interessati, come hanno fatto Ipsos e Fondazione Raffaele Barletta, si capiscono un po’ di più i nodi sul tavolo. Intanto, ha spiegato la ricercatrice Ipsos, Eva Sacchi, chi intende andare all’estero sono soprattutto i giovanissimi tra i 18 e i 22 anni, spesso del Mezzogiorno.
Quello che manca è la scarsa consapevolezza delle possibilità che offre l’Italia. Il primo motivo per cui un giovane italiano consiglierebbe il nostro Paese a un coetaneo straniero è infatti l’esperienza di vita che lo aiuta a entrare in contatto con la cultura italiana e il nostro stile di vita. Altro che opportunità migliori e salari più alti. Solo uno su dieci consiglierebbe l’Italia per il lavoro. E se proprio si decidesse di venire da noi ci si dovrebbe buttare nel turismo, nella moda, nelle tecnologie e nell’agroalimentare. Una percentuale minima di ragazzi indica la manifattura. Soprattutto perché non conoscono le opportunità che offre. L’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, una tra le principali economie mondiali. Ma evidentemente, a cominciare dalla scuola, in pochi lo hanno raccontato alla nostra Generazione Z.
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Cristina Casadei
Claudio Tucci