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Il Sole 24 Ore
29/04/2025Il Sole 24 Ore
Il disaccoppiamento È irrealizzabile

Si fa presto a giocare a Risiko con il pianeta: basta una mappa, qualche ordine esecutivo, e un ego smisurato. Peccato che il mondo reale non sia un tavolo da gioco e che persino Donald Trump e Xi Jinping debbano fare i conti con l’unico sovrano indiscusso: il principio di realtà. Nessun pasto è gratis. In particolare, l’embargo che si sono auto-imposti (l’immobiliarista newyorkese ci ha messo molto del suo) non regge, non tiene conto della storia di (forte) interdipendenza economica di questi decenni. Del resto se fino a qualche anno fa si parlava di “Chimerica crasi di Cina e America” per rappresentare il livello di integrazione raggiunto dalle due economie, è fuori dalla realtà pensare che con un tratto di penna oggi si blocchi un flusso di merci, servizi e conoscenza di vitale importanza per entrambi i Paesi e per il mondo.
Cerchiamo di mettere in fila le ragioni dell’impossibile (nel breve) disaccoppiamento. Partiamo dagli Usa. Gli Stati Uniti non comprano prodotti dalla Cina per carità. Gli americani vogliono ciò che la Cina produce perché presenta un livello di convenienza economica impareggiabile. È in secondo luogo pressoché impossibile sostituire nel breve una offerta (cinese) che per alcune categorie merceologiche è dominante: secondo il New York Times, il 90% di condizionatori e forni a micro-onde, il 98% dei barbecue e delle tende da sole proviene dalla Cina, a significare che in futuro gli americani non riusciranno più ad arredare la loro casa. Si tratta di due osservazioni banali ma dagli effetti dirompenti. Intorno al 10 di maggio gli scaffali della grande distribuzione organizzata americana cominceranno a svuotarsi. D’altro canto molte imprese americane derivano larga parte dei propri profitti dal sistema Cina: in quanto mercato di vendita di fondamentale importanza e bacino produttivo dotato di un mix unico di competenze-efficienza della manodopera.
A queste condizioni, il motore americano grippa in quanto perde un combustibile fondamentale, quello cinese, che è un po’ come il petrolio. Tutti vorrebbero farne a meno ma, alla fine, continuano a utilizzarlo. Per non parlare del tema delle terre rare, dove la Cina raffina il 90% di queste risorse del pianeta e, di fatto, è impossibile, oggi, produrre batterie senza i magneti realizzati dal Dragone. Nulla di diverso sotto il cielo di Pechino: ormai l’azzurro in quanto tale è stato abolito dall’inquinamento ma sarebbe comunque a tinte fosche se si analizza la situazione dal punto di vista economico. Nei giorni scorsi sono emersi i primi segnali di cedimento; funzionari del ministero del Commercio hanno infatti evidenziato la necessità di togliere dazi su alcuni prodotti importati dagli Usa: i farmaci salvavita e altri prodotti sanitari, che impattano in misura molto significativa sul carovita delle persone più anziane (gli over 60 rappresentano oltre il 30% della popolazione cinese).
Vi sono d’altro canto altri due fattori che rendono poco praticabile per Pechino l’embargo in corso. È infatti pressoché impossibile rimpiazzare la domanda americana (500 miliardi di dollari). Gli altri Paesi, Europa in primis, non si faranno carico di assorbire questa capacità produttiva in eccesso e la domanda interna non cambierà d’improvviso il suo sentiment improntato al risparmio. D’altro canto, l’eventuale ma possibile abbandono delle imprese occidentali (citofonare Apple) arrecherebbe un danno molto consistente al motore economico del Dragone: basti pensare che le imprese straniere operanti in Cina hanno esportato nel 2024 beni per un valore di circa 1.000 miliardi di dollari, rappresentando il 30 dell’export del Dragone. Operando in catene di fornitura complesse, pagano i fattori di input più del doppio (125% sono i dazi cinesi) e poi quando esportano in Usa sono oggetto di misure tariffarie pari al 145%. Una situazione letteralmente non sostenibile.
Pechino può fare del resto poco anche sul fronte della svalutazione monetaria: utile per sostenere esportazioni ma totalmente incompatibile con la volontà di Xi di aumentare l’incidenza delle transazioni commerciali in Renminbi. Si diceva, prima, che nessun pasto è gratis. In fondo, chi siamo noi per negare loro il diritto di sognare una guerra commerciale perfetta, libera da contraddizioni, storia e interessi materiali? Solo che, come in tutte le favole che si rispettino, alla fine arriva l’orco della realtà a divorare i sogni. E questa volta nessuno, nemmeno Trump con la sua penna magica o Xi con i suoi slogan eterni, potrà riscrivere il finale: questo divorzio non sa da fare...e forse nemmeno litigare decentemente.
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